“Tà gynaikeia. Cose di donne” è un documentario archeologico. Detta così, ammettiamolo, non suona molto appetibile, se non per gli addetti ai lavori: nell’immaginario comune l’archeologia sembra infatti una materia lontana, sepolta sotto metri di polvere millenaria. Da questa consapevolezza sono partiti Lorenzo Daniele e Alessandra Cilio, rispettivamente regista e sceneggiatrice, per rendere comprensibile e affascinante il legame tra passato e presente, tra archeologia e quotidianità in Sicilia, “terra di dee, sante e regine” dicono. La storia viene fatta raccontare alle donne, quelle di oggi -alcune celebri, altre meno, di età e origini molto varie- e quelle di ieri a cui danno voce la tradizione, la storia, la religione e il folclore. Candidato al David di Donatello, il documentario -proiettato giovedì scorso a Vittoria- si snoda sulle musiche dei Cordasicula da una parte all’altra della Sicilia, tra ragazze e donne mature, tra miti greci e romani a feste patronali.
Troina fa da sfondo alle prime due protagoniste: a Concetta Venezia che racconta la guerra e di come in quell’agosto del 1943 “era destino che dovesse vivere” mentre tutto intorno crollava, e ad Angela Guagliardo, volontaria da sempre nell’assistenza a bambini ritardati. Ad Agrigento Simonetta Agnello Hornby racconta il senso di appartenenza e di familiarità con la Valle dei Templi fin dall’infanzia quando vi andava a giocare nonché i tanti momenti della giornata con le tante donne in casa. A Vittoria c’è Arianna Occhipinti che lavora la terra, attività tradizionalmente maschile, con un approccio invece femminile, legato alla tradizione, al luogo, ai suoi materiali e che racconta come sia stato all’inizio difficile acquisire credibilità perché donna e giovane. Le fa eco da Palermo Letizia Battaglia che “non era credibile con la macchina fotografica, perché era cosa da uomini”, così come lo era decidere della vita delle donne. Regole sociali a cui si è ribellata Donatella Finocchiaro quando ha interpretato emozionata, racconta, la corifea delle Supplici al teatro greco di Siracusa. C’è anche chi la Sicilia l’ha dovuta lasciare, come la giovane archeologa Angela Catania di Gela costretta, per portare avanti il suo lavoro, a trasferirsi in Inghilterra, da dove riesce a guardare la sua terra con sguardo più ampio ma commosso di nostalgia.
Cose di donne è un’opera corale ma a cui si intrecciano anche le voci di miti, leggende e tradizioni millenarie: al coro partecipano anche le donne divine o meglio la dea a cui ogni dominazione ha chiesto protezione. Ne parla la tradizione ma anche l’archeologia, con i suoi tantissimi reperti legati sia al culto, come gli ex voto, sia all’uso quotidiano che ne facevano queste donne, silenziose guardiane della vita e spesso della collaborazione e della pace tra i popoli. Alla Dea Madre, nel cui ventre, scavato nella roccia, si ritorna nella morte, i Greci sovrappongono Demetra, nei cui santuari le donne accorrevano a pregare e il cui culto, legato a quello della figlia Kore, poi divenuta Persefone, moglie costretta a restare nelle tenebre del marito Ade, era legato al raccolto, al grano, al pane. Artemide, dea della caccia ma anche della luce, è da sempre adorata dalle donne di Siracusa, prima e dopo aver vestito i panni cattolici di Lucia (“lux”appunto) così come a Gela la Madonna di Betlem eredita il culto di Demetra. Un sincretismo che si snoda nei secoli e in cui la “dea”, ora pagana, ora cristiana, non ha mai smesso di essere adorata da quelle donne che si sono sempre immedesimate in lei e che tuttora ne dimostrano la forza.
Pubblicato su La Sicilia il 14/3/2016