Villa Resuttano, rannicchiata, resiste

Il Sacco di Palermo è una ferita ancora aperta nel cuore della città e dei suoi abitanti. Chi ci è cresciuto in certi quartieri e certi contrasti li vede ogni giorno, in fondo non ci fa più caso che edifici così diversi possano convivere uno affianco all’altro ma chi invece non ha l’occhio assuefatto ne scorge pesantemente la contraddizione, sentendo nell’aria lo scempio che è sotto il proprio naso.

Capita così che si trovino, nascoste tra anonimi altissimi palazzi-alveare, delle perle: ville rannicchiate all’ombra di quei giganti, stoicamente impegnate a tenere loro testa col fascino della storia e la resistenza agli abusi edilizi. Villa Resuttano-Terrasi ha da poco piacevolmente aperto le sue centenarie porte.

A fine Seicento l’aristocrazia palermitana si espande, esce fuori dalla città, piuttosto provata dalla peste e dalle sommosse popolari dei decenni precedenti ma frenetica già all’epoca, e costruisce ville dove trascorrere la villeggiatura. Le direttrici sono tre: alcuni vanno verso Bagheria (https://lapennariccia.it/2022/09/18/la-citta-delle-ville-mostruosamente-bagheria/), altri verso Mezzomonreale, altri ancora verso piana dei Colli. Ecco, proprio tra le famiglie che scelgono quest’ultima, c’è anche la Di Napoli che individua il luogo di un’antica torre cinquecentesca per chiamare Andrea Cirrincione, lo stesso frate architetto della chiesa di San Domenico, per una villa con un insolito impianto a C.

I lavori iniziano intorno al 1670 ma poi subentrano altri architetti nel corso degli anni e le forme di Villa Resuttano si addolciscono con l’alternanza di linee concave e convesse, le stesse che avevano contraddistinto il barocco romano nel secolo precedente e che in Sicilia nel Settecento si intrecceranno felicemente alle decorazioni rococò. Ovviamente villeggiatura fa rima con prestigio e sulla scia di quelle Reggia di Versailles e Reggia di Caserta di cui tutti parlavano, la competizione tra famiglie si fa a colpi di nastri e fiocchi, vesti svolazzanti e colori vivaci, prospettive audaci e solleticanti frivolezze. Oggi, sbirciando oltre i vetri delle finestre, invece si scorge l’opposto, in una dimensione un po’ spiazzante e surreale.

La villa ha gli spazi ben definiti secondo il gusto dell’epoca, con un baglio tradizionale alla fine del viale rettilineo immerso nel verde, lo scalone che conduce al piano nobile, un atrio, salottini vari, terrazze, camera da letto da parata e il gran finale, ovvero il salone da ballo.

Ovviamente non poteva mancare il mausoleo di famiglia, l’attuale chiesetta di Resuttana (borgata fondata proprio dai contadini al servizio dei Principi), alla quale si accedeva da un passaggio interno, oggi murato ma ricordato da un affresco. Infine, gravissima perdita, la villa doveva essere circondata da giardini, frutteti e boschetti, come risulta da un’incisione del 1761 esposta in una delle stanze.

Un paio di secoli così ma poi arrivò il Sacco e addio noci, cedri, aranci, limoni, prugne, pere, arbusti. Fu cemento. “Là dove c’era l’erba ora c’è una città e quella casa in mezzo al verde ormai” , direbbe Adriano. Come se non bastassero le perdite, oltre al danno la beffa: pare che per scavare le fondazioni dei palazzi intorno, la povera villa superstite abbia anche subito danni.

Il percorso è accompagnato dagli affreschi delle volte, che seguono gli episodi della Gerusalemme Liberata, dipinti probabilmente da Gaspare Fumagalli. Seguono salotti e salottini con vari ricordi familiari secondo il gusto dei vari secoli che si sono succeduti e che hanno lasciato ora una foto, ora un soprammobile, ora un quadro in un contesto piuttosto variopinto in cui tuttavia il calore familiare amalgama e accorda tutto. La villa infatti passò nel 1921 in dote ai Beccadelli Boccacci e poi ai Terrasi, che abitano ancora lì e la cui erede Laura ha aperto le porte accogliendo i visitatori. Sembra quasi di vederla questa famiglia, impegnata da un lato nelle inevitabili dinamiche tra generazioni diverse e dall’altro nell’appartenenza a una classe sociale che prevede ad esempio una camera da letto, l’ambiente più intimo di una casa ma di parata, ovvero intimità sì ma di rappresentanza, per accogliere le visite in occasione di nascite e morti.

Straordinario infine il vero cuore artistico della villa, ovvero il salone da ballo, dove Vito D’Anna, Fumagalli e Serniti si scatenarono in un ciclo di affreschi dall’iconografia piuttosto complessa per dar voce al padrone di casa, il Principe Federico II Di Napoli, che partecipò così attivamente al programma da farsi ritrarre (umilmente!) tra gli dei dell’Olimpo. Massone, membro dell’Accademia dei Pastori Ereini – un circolo illuminista e talmente illuminato da ammettere anche le donne- volle che il salone fosse dedicato alle arti e alle scienze protette dagli Dei che scacciano via i vizi sotto la protezione dei Principi di Resuttano. Il pavimento con le Allegorie dei quattro continenti intorno alla pigna, simbolo di immortalità, non fa che ribadire la fama eterna della famiglia sotto un programma che, pur traendo spunto dal Ripa di un secolo prima, non potrebbe essere meglio accordato con lo spirito illuminista che stava gonfiando di passione mezza Europa.

Trompe l’oeil d’eccezione, scorci arditissimi, illusioni di ogni tipo, panneggi spumeggianti e un turbine di figure impegnate ciascuna in un’azione diversa, corpi in torsioni violente, altri in cadute spericolate, altri ancora placidi a godersi lo spettacolo dalla balaustra in cima, ogni figura con un messaggio nascosto, un indizio per riconoscerla, un dettaglio che la possa distinguere dalle altre e darle la libertà di partecipare a questa immensa opera corale.

Piccola curiosità: gli affreschi del salone colpirono molto anche Luchino Visconti, impegnato nei sopralluoghi del Gattopardo. Il regista però dovette scontrarsi con il rifiuto di nonna Olivia Beccadelli, ci racconta Laura Terrasi, che trovò sconveniente e rischioso che quello scrigno del prestigio secolare della famiglia potesse accogliere scene di magari dubbio decoro. Fu così che gli affreschi vennero riprodotti a Villa Boscogrande, dove furono ambientate alcune scene del film. Un Settecento palermitano che, come nel famoso ballo a Palazzo Valguarnera Ganci (https://lapennariccia.it/2022/04/02/palazzo-valguarnera-gangi-un-gattopardo-apparentemente-assopito/) volteggia tra stucchi, specchi e affreschi di un tempo che, instancabile, strenuamente resiste.

L’apertura di Villa Resuttano, oltre ai proprietari, si deve all’Ass. BC Sicilia (https://www.facebook.com/associazionebcsicilia), il cui presidente Fabrizio Giuffrè ha guidato la visita.

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