Una pianta fa lo sgambetto con un ramo, una ninfea sfugge da un quadro di Monet e torna a scivolare sull’acqua, un albero gareggia col vicino a chi arriva più in alto, in un ventaglio di forme e colori inaspettati, insolenti e irrispettosi. Un giardino è opera dell’uomo. Opera senza mai totale controllo perché, per quanto l’ordine guidi le scelte, la natura dispettosa impone i suoi capricci.
Dieci ettari di verde nel cuore di Palermo, alberi secolari e piante esotiche, profumi mediterranei e rami dagli intrecci arabescati, fronde nostrane e tronchi orientali, snelli giunchi agili e carnose piante grasse, erbe aromatiche e palme svettanti. Tutte in rigoroso ordine e classificazione: l’Orto botanico di Palermo, nel suo lussureggiante splendore, offre una sorta di giro del mondo attraverso la sua vegetazione.

Fondato alla fine del Settecento sulla scia illuminista, ancora oggi riveste importantissima funzione didattica, parte com’è del Dipartimento di Scienze Botaniche dell’Università di Palermo. La sua veste didattica appare molto chiara sia nella classificazione e suddivisione delle piante – nell’alternarsi di viali principali e viottoli minori, serre ben curate e fontane – sia all’ingresso, nel cosiddetto “Ginnasio”, prospetto ufficiale dell’intero Orto.

La facciata neoclassica, con tanto di colonne e sfingi a far da custodi, fa ipotizzare un ambiente altrettanto imponente che di fatto non c’è: il tempio del sapere in realtà ha un’estensione piuttosto ridotta, con la sua cella rotonda dove più che la cattedra del professore, spiccano le straordinarie collezioni di cortecce, semi e radici esposte in vetrine.


L’orto botanico lascia quindi l’architettura del mattone e si sviluppa con quella del fogliame. Niente di selvaggio e incontaminato, pittoresco men che meno, ma al contrario tutto è un trionfo di ordine, rigore e simmetria.

Per quanto l’uomo però possa forzare la natura a seguire i propri piani, questa poi con fantasia si intreccia spontaneamente in fronzoli di rami, fiori dai colori improbabili, contaminazioni col cespuglio vicino, radici stufe di stare celate che riemergono prepotenti in superficie.

Questa contrapposizione tra ordine e caos, rigore e libertà, coerenza e dispetto, fa sì che dentro l’Orto Botanico ci si perda. Se seguire i viali ordinati appare sicuro e rassicurante, poi non ci si può non distrarre a notare gli sbuffi di una pianta che proprio non ci sta a rispettare quel vialetto e non può resistere a invaderlo con un ramo, quasi uno sgambetto, sfuggito al giardiniere.



Nonostante il mio pollice verde (sbiadito) poco capisca di botanica, ha dovuto ammettere la straordinarietà di questo posto: gli alti pini che fanno a gara con le palme a chi svetta di più, le palizzate di bambù dai tronchi ben separati ma che si mischiano tra le foglie, le ninfee in fiore scappate dalle mani di Monet a planare sull’acqua, gli alberi di agrumi con frutti grandi come meloni, le piante grasse dalle foglie cicciotte e carnose ma troppo sensibili per non difendersi con degli aculei, i ficus secolari con radici sotterranee venute su a toccare il cielo e con altre aeree scese giù a toccare terra.
All’Orto botanico ci si perde, con ordine.
Consiglio fondamentale: cospargetevi, innaffiatevi, ungetevi e immergetevi nell’antizanzare.
Costo del biglietto: 6 euro. Costo dell’audioguida: 5 euro.